domenica 25 aprile 2010

Economico di Senofonte

Finito di leggere il 25 aprile 2010

Economico

di Senofonte

Introduzione, traduzione e note di Fabio Roscalla, con un saggio di Diego Lanza

Edito da BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, collana Classici greci e latini, pagg.245, gennaio 2008

Commento: con un linguaggio semplice e affrontando aspetti concreti della vita si tracciano i comportamenti del saggio, che non ha epoche.

Citazioni:

pag.239

Ma io sto pensando, o Iscomaco, che tutto il discorso che hai fatto viene bene in aiuto alla tua tesi. La tua tesi infatti era che l'arte dell'agricoltura è la più facile di tutte da imparare, e ora, in base a quanto hai detto, mi hai convinto che la cosa sta veramente così.

"Sì per Zeus" fece Iscomaco "ma, o Socrate, per quel che riguarda l'attitudine a comandare, comune a tutte le attività, all'agricoltura, alla politica, all'amministrazione domestica e all'arte bellica, io sono d'accordo con te che gli uni sono molto diversi dagli altri per intelligenza.

Per esempio, anche una trireme quando si naviga in mare aperto e si deve attraversarlo con una navigazione di giorni, alcuni capiciurma possono dire e fare cose tali da incitare l'animo degli uomini a faticare volontariamente, altri invece sono così stolti che terminano la stessa navigazione in più del doppio del tempo. I primi sbarcano tutti sudati, lodandosi a vicenda, chi comanda e quelli che obbediscono, gli altri invece arrivano senza una goccia di sudore, odiano chi è a capo e a loro volta sono odiati.

In questo anche gli strateghi sono diversi gli uni dagli altri. Gli uni infatti presentano uomini che non vogliono né faticare ne affrontare i pericoli, che non ritengono neppure giusto obbedire e non vogliono farlo se non per quel tanto che è necessario, anzi vanno anche orgogliosi del fatto che si oppongono al loro capo. Questi sono gli stessi che poi presentano uomini che non sanno neppure vergognarsi se succede qualche brutta cosa.

Quelli invece divini, eccellenti ed esperti, se comandano a questi stessi e spesso ad altri ancora, hanno a disposizione uomini che si vergognano di fare qualche brutta azione, che pensano sia meglio obbedire, che vanno orgogliosi di obbedire singolarmente e tutti insieme e che faticano, senza tirarsi indietro, quando c'è bisogno di faticare.

Come ci sono dei privati cittadini nei quali vi è presente un certo amore per la fatica, così in un intero esercito, sotto la guida di eccellenti capi, vi sono l'amore per la fatica e l'ambizione di essere visti dal capo mentre si fa qualche cosa di bello.

Sono capi forti quelli nei confronti dei quali le schiere si comportano in questo modo; non lo sono certamente, per Zeus, quelli che fisicamente sono più efficienti dei loro soldati, che nel modo migliore scagliano dardi e tirano d'arco e che con il cavallo migliore affrontano per primi i pericoli come ottimi cavalieri o peltasti, ma lo sono coloro che possono infondere nei soldati l'idea che bisogna seguirli anche attraverso il fuoco e ogni pericolo.

Questi che sono seguiti da molti che la pensano come loro si potrebbero giustamente chiamare uomini dalla grande intelligenza. In modo naturale si direbbe che avanza con mano grande quello alla cui intelligenza molte mani vogliono sottostare, e veramente grande quest'uomo che può compiere grandi cose più con l'intelligenza che con la forza.

Così anche nei lavori privati, sia che a comandare sia un fattore o un sovrintendente, quelli che possono presentare uomini zelanti, tesi a lavorare e perseveranti, sicuramente giungono alla fine a risultati eccellenti e producono molta eccedenza.

Io, o Socrate, non ammirerei quel padrone i cui lavoratori non fanno nulla di particolare quando quello si fa vedere sul posto di lavoro, con tutto il potere che ha di nuocere moltissimo al cattivo lavoratore e di ricompensare moltissimo quello zelante. Direi invece che ha qualche cosa del carattere regale quello che basta che lo vedano perchè si muovano e in ciascun lavoratore penetrino la forza, il desiderio di gareggiare l'uno con l'altro e in ciascuno anche l'ambizione di essere superiore.

Ed è questo l'aspetto più importante, come mi sembra, in ogni lavoro in cui si opera per mezzo di uomini, dunque anche in agricoltura. Certo, per Zeus, non affermo più che è possibile impararlo guardando e neppure ascoltando una sola volta, ma dico che chi vorrà essere in grado di fare queste cose ha bisogno di educazione, di una natura eccellente e, cosa più importante, di essere divino.

Perchè non mi sembra affatto che tutto questo bene sia umano, ma divino, comandare cioè su persone che lo vogliono. Questo chiaramente viene dato a coloro che sono davvero completamente saggi. Gli dei invece concedono di esercitare il potere tirannico su persone che non lo accettano spontaneamente, come mi sembra, a coloro che ritengono degni di vivere come si dice che Tantalo passi il tempo in eterno nell'Ade, nel timore di morire una seconda volta."

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